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Marchio unico, no grazie

di Cristina Peroglio

Sono e restano il sogno dei turisti italiani, soprattutto delle coppie di sposi che immaginano la loro luna di miele su una spiaggia bianca, lontani da tutto e da tutti.

Ma spesso il loro destino, almeno per i clienti delle agenzie di viaggi italiane, è quello di restare solo un sogno: l’impegno economico necessario per un viaggio dall’Italia verso le destinazioni del Pacifico è difficilmente compatibile con la situazione di crisi che sta vivendo il nostro Paese e in generale tutto il Vecchio Continente.

Tanto è vero che i dati mostrano incrementi in quasi tutta l’area per gli arrivi turistici, ma la spinta arriva principalmente dai mercati di Australia e Nuova Zelanda, che peraltro sono i più vicini all’area, mentre sia gli Usa che i mercati europei registrano una sostanziale stabilità.

In generale, però, secondo i dati Pata, l’intera area del Sud Pacifico ha fatto registrare, fino a maggio 2012, un incremento dell’8 per cento, e le previsioni sono positive anche per la chiusura dell’anno. Nei numeri Pata sono, però, inseriti Paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda che per l’area rappresentano dei colossi e che, nell’immaginario collettivo, non fanno parte a pieno titolo del panorama di isole che compongono la regione.

Il nodo dei voli

In effetti, non è una questione di poco conto definire i confini dell’area. I governi delle diverse isole sono impegnati nella creazione di un marchio unico per identificare il Sud Pacifico da anni, ma i tentativi hanno sortito effetti alle volte contradditori, che non hanno convinto del tutto neppure i promotori.

Secondo alcune analisi, l’esperimento di un brand unico per l’area si scontra con una serie di problematiche di diverso genere. Da un lato, infatti, si tratta di territori fortemente identitari, a cui poco interessa fare squadra con i vicini. Dall’altro, però, emerge un dato decisamente più significativo, almeno per quanto riguarda la possibilità di creare un marchio turistico unico veramente spendibile sui mercati internazionali.

La particolarità della regione, infatti, è che effettuare una sorta di island hopping come quello disponibile nel Mar dei Caraibi è pressoché impossibile. Le diverse isole, infatti, hanno collegamenti pochi o nulli fra loro, e per ogni spostamento è necessario spesso fare capo all’Australia o alla Nuova Zelanda.

L’index mondiale

È evidente che, unendo le forze, i territori dell’area avrebbero un maggiore potenziale sia per le risorse promozionali che per il business, ma la volontà delle destinazioni non sembra essere quella di rendersi particolarmente accessibili. Senza contare che alcuni brand Paese, ad esempio quello della Polinesia o delle Fiji, hanno un successo e una rilevanza tale da non aver bisogno di associarsi ad un marchio unico.

Basti pensare che le Fiji entrano nelle prime 20 posizioni alla voce turismo del Country Brand Index, lo studio FutureBrand che prende in esame 118 nazioni nel mondo. Una forza che, forse, non ha bisogno di altri.

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