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Il sole di Svevia

Salvatore Miano, Agenzia Mianotour, Barcellona Pozzo di Gotto, Messina
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La maglia numero 10 del Ventaglio, e il senso di appartenenza

Ci sono momenti, nella vita, in cui il tempo, come a conferma della relatività di Einstein, sembra dilatarsi a dismisura, attimi che occupano lo spazio nella tua mente che occuperebbero interi interminabili minuti.

E lo fanno a ragione, perché hanno un profondo significato simbolico, o richiedono un’attenzione fuori dal comune, quando è necessaria una forte scossa di adrenalina.

Alcuni anni fa, la mia agenzia era Ventapoint, e tutto il mondo del turismo sa quanto amore – odio – riverenza – fastidio desse il marchio, rosso, del Ventaglio. Partì, dall’allora secondo t.o. italiano, un input creativo, per una iniziativa che dovesse promuovere i Ventaclub sul territorio, organizzare il “villaggio in spiaggia” una sorta di “campione” dell’esperienza del villaggio nei lidi delle spiagge vicine alle agenzie di viaggi.

Il mio, allora, produttore Ventaglio, e oggi responsabile Centro-Sud del Network G40, era Benny Faro. È un catanese particolare Benny, forse a causa delle sue origini italo–tedesche, forse perché assetato di cultura alla quale non è assolutamente impermeabile, comunque ha carisma da vendere, non ti lascia indifferente.

Per me è anche un amico, uno dei pochi uomini che mi legge nel pensiero e vede già nei miei occhi l’azione che sto per compiere, e spesso dice, o conferma, esattamente le stesse cose che dico o sto per dire io, a volte ci “acchiappiamo” (litighiamo come si dice in catanese) perché siamo entrambi convinti delle nostre idee, ma quella volta compì anche un gesto che per me ebbe un profondo significato simbolico.

Pronti nel lido che avevo scelto vicino alla mia agenzia, avevamo organizzato tutto, con gli animatori, il personale del lido attrezzato, la comunicazione da “panzer”, come diceva Benny, con tanto di poster a vela sui camion e spot radiofonici.

Ad un tratto il mio amico-produttore-alfiere del Ventaglio, tira fuori una maglietta dello staff di animazione dei Ventaclub della mia misura e me la lancia, “Mianus tieni” (lo odio perché mi chiama così). È il classico gesto da spogliatoio, quello in cui un allenatore lancia al suo uomo la maglietta con il numero 10 che lui non si aspettava, e quel volo, la parabola che quell’indumento disegnò nell’aria, durò interminabili istanti.

In quel momento non si stava trasferendo di proprietà un manufatto in cotone, si stava consolidando il senso di appartenenza ad un team, ad una squadra, ad una idea, e ha poca importanza quanto questa idea fosse oggettivamente valida (e ahimè duratura), aveva importanza quanto soggettivamente, ed emotivamente, fosse necessaria per le persone che la vivevano.

A suggellare definitivamente la scena ci pensò poi uno dei soci del lido, che, senza alcuna sollecitazione, prese una bandiera del Ventaglio, quella su sfondo bianco, e la portò, come un paladino, a sventolare sulla torretta del lido, altra scena di durata indimenticabile.

Oggi il tempo è diverso, sembra che nel nostro mondo tutto si stia disgregando e che stiano mancando tutti i punti di riferimento.

Eppure, oggi più che mai, ritengo che il senso di appartenenza debba avere una sua rilevanza ed è un elemento importante che ancora pesa in maniera forte sulle mie decisioni.

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