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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Turismo e calcio: quattro cose che hanno in comune, tra globalizzazione e soldi, gufi e underdog

Paragonare turismo e pallone è meno azzardato di quanto sembri. Basta ragionarci un minuto e appare evidente quante cose abbiano in comune. Ecco un elenco, certo non esaustivo.

1. Dimensioni globali, senza limiti geografici o culturali. Il calcio è di gran lunga lo sport più popolare e praticato al mondo: si stima che abbia tra i 3,5 e i 4 miliardi di appassionati. È giocato in tutto il globo, specialmente in Europa (dove è nato), in Asia e in Africa, in Centro e Sud America: in Nord America (dove dominano altri sport di squadra come football, baseball, basket e hockey) il “soccer” al femminile è molto popolare e seguito dai media. Secondo le stime dell’Unwto, nel 2023 gli arrivi dei turisti internazionali potrebbero raggiungere tra l’85% e il 95% dei livelli pre-pandemici, quando toccarono la cifra record di 1,5 miliardi. Ricordo che la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi meno di un anno fa, quindi metà di noi terrestri guarda/gioca a pallone e 1/5 passa almeno una notte fuori casa, nel corso dell’anno. Un elemento positivo, e mai considerato nella sua imponente misura: pallone e turismo non hanno - salvo rare eccezioni - alcun limite culturale o religioso, geografico o sociale. È un unicum.

2. Chi ha i soldi conta, ma non sempre vince. È nota l’esorbitante massa di denaro che gli sceicchi hanno riversato nel calcio europeo: un solo esempio, il Qatar Investment Authority ha investito 1 miliardo e mezzo di euro, dal 2011 a oggi (fonte: Transfermarkt) nel club francese Paris Saint-Germain: che ha dominato 9 campionati nazionali, su 12, ma non ha mai vinto la Coppa dei Campioni. Ora qatarini e sauditi stanno facendo incetta di giocatori e allenatori europei (ultimo, l’ex Ct italiano Roberto Mancini, attratto da 90 milioni di euro per quattro anni) allo scopo di diventare il nuovo polo mondiale del calcio (che è un formidabile strumento di soft power, non dimentichiamolo). Gli stessi sauditi che - come riferisce Federico Rampini sul Corriere della Sera - hanno recentemente previsto, per bocca del ministro degli investimenti Khalid Al-Falih, 100 milioni di visitatori stranieri entro il 2030 (ne hanno ricevuti 8 milioni nel primo trimestre 2023). Il turismo è uno dei business su cui punta la nuova Arabia, ma destinazioni e siti Unesco non si possono comprare, al contrario di calciatori e allenatori. Però il vicino esempio di Dubai dimostra che - se si hanno delle idee, oltre ai capitali - qualcosa si può fare.

3. Tifare contro, anzi, gufare: costa nulla ma serve a poco. “Gufare, nel linguaggio giovanile” significa, secondo la Treccani “essere causa di sfortuna, fare l'uccello di malaugurio, portare iella”. La pratica è talmente diffusa, nel calcio, da non meritare approfondimenti: i tifosi di Inter o Milan, Roma o Lazio, ne sono esperti, e poi tutti contro la Juventus. Un gufo turistico l’abbiamo avuto anche noi, questa estate: il ministro della sanità tedesco Karl Lauterbach, in visita nella bollente Italia di luglio, si è guadagnato il titolo di Repubblica: “Qui il turismo non ha futuro. Usare le chiese come celle frigorifere”. I gufi interisti hanno contribuito a non fare vincere la Coppa dei Campioni alla Juventus?! Il gufo tedesco ha convinto i suoi connazionali a disertare le spiagge romagnole e a trasferirsi su quelle (ventose, anzichenò) del Mare del Nord?! Né l’uno né l’altro.

4. Lo sfavorito (anzi, l’underdog) è simpatico e piace a tutti. I boomer se li ricordano ancora: gli scudetti vinti dal Cagliari di Giggirriva e Manlio Scopigno, nel 1970, e dal Verona Hellas di “nanu” Galderisi e Osvaldo Bagnoli, nel 1985. Primo e unico campionato italiano vinto, per entrambe le squadre: tuttora - dopo quarant’anni e più - nell’immaginario collettivo dei calciofili, non solo cagliaritani o veronesi. Perché lo sfavorito (oggi si chiama “underdog”, ma sempre quello rimane) è simpatico a tutti e non dà fastidio. Un po’ quello che è successo all’Albania in questa pazza estate 2023: 10 milioni di arrivi internazionali (l’Emilia Romagna da sola ne fa di più), più 25% nel 2023 sul 2022, titoli sui giornali e servizi sui tiggi, a documentare quanti italiani ci siano andati e come si siano trovati bene (meglio che da noi, a detta loro). L’Albania non può non stare simpatica, con quello che ha vissuto negli ultimi ottanta anni, quindi va bene così. L’anno prossimo tiferemo anche per Montenegro e Macedonia del Nord.

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