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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Anche i Re Mida sbagliano: Google Glass, il metaverso e Hyperloop, tre clamorosi insuccessi

Oggi, diciassette anni fa, Steve Jobs presentava al mondo l’iPhone, ovvero il primo smartphone. Lui era un genio e trasformava in oro tutto quello che toccava, ma anche i Re Mida sbagliano. Google Glass, il metaverso e Hyperloop, invenzioni rispettivamente di Sergey Brin e Larry Page (Google), Mark Zuckerberg ed Elon Musk (Re Mida anche loro) rappresentano tre “epic fail” tecnologici, ovvero tre fallimenti clamorosi e inattesi.

Ne ripercorriamo la storia, per constatare che le cose che NON funzionano hanno sempre qualcosa in comune. Premessa: non sono un esperto di tecnologia, riporto quanto pubblicato dai media e mi scuso per le inevitabili semplificazioni.

La prima versione dei Google Glass, presentata nel 2013, consisteva in un paio di occhiali dotati di realtà aumentata, tramite i quali visualizzare informazioni come sugli smartphone, ma senza l'uso delle dita. L’elemento distintivo degli “smart glasses” era il mini-display collocato su una stanghetta, spostabile a discrezione dell’utente, che consentiva di visualizzare applicazioni, video e contenuti multimediali come se fossero proiettati da uno schermo ad alta definizione da 25 pollici, a una distanza di due metri. Completavano il device una fotocamera per registrare video e scattare foto, un touchpad collocato accanto al display, audio a conduzione ossea, connettività Wi-Fi e Bluetooth, 12 GB di memoria. Questo video spiega come funzionassero i Google Glass, che sarebbero stati prodotti in due versioni: l’Explorer Edition, rivolta al pubblico, che venne ritirata dal mercato nel 2016 (ne erano stati venduti qualche decina di migliaia di esemplari, al costo di circa 1.500 dollari); l’Enterprise Edition, presentata nel 2017 e progettata per le aziende, soprattutto in ambito medico e scientifico, e arricchita della “gesture recognition”, ovvero dalla possibilità di interagire con le applicazioni tramite il movimento degli occhi. A marzo 2023 Google ha sospeso la vendita anche della versione Enterprise e annunciato che avrebbe concentrato i propri sforzi sulle nuove tecnologie di AR Augmented Reality, ma senza occhiali.

Nel 2021 il metaverso scatenò una tempesta di hype paragonabile solo a quella che, due anni dopo, avrebbe suscitato AI, l’intelligenza artificiale, grazie soprattutto a ChatGPT di OpenAI. Ma mentre l’AI rappresenta probabilmente la maggiore sfida tecnologica del decennio, l’universo virtuale progettato da Mark Zuckerberg – che cambiò persino il nome di Facebook in Meta, per rispecchiare la nuova mission – fatica a imporsi. In questo video (90 minuti, ma guardatelo tutto, ne vale la pena) la versione analogica, ovvero in carne e ossa, e quella digitale, ovvero l’avatar, di Zuckerberg illustravano il nuovo ambiente in cui avremmo interagito, socializzato e complessivamente spostato le nostre vite: “Our company is now Meta. Abbiamo una nuova stella polare: dare vita al metaverso. D’ora in poi, al primo posto per noi ci sarà il metaverso, non Facebook”. I motivi per i quali il metaverso non ha funzionato sono troppi per essere citati qui (riporto solo un titolo del New York Times di un anno fa: “Skepticism, Confusion, Frustration: Inside Mark Zuckerberg’s Metaverse Struggles”), ma quello che mi preme sottolineare è la distanza tra le aspettative del creatore di FB, che lui stesso definiva “uno dei prodotti più usati nella storia del mondo”, e l’impatto del metaverso, solo due anni dopo.

Nel 2012 Elon Musk, fondatore di realtà innovative come PayPal, SpaceX e Tesla, lancia Hyperloop: un treno a levitazione magnetica che avrebbe collegato Los Angeles a San Francisco su una linea sopraelevata (formata da una coppia di tubi di acciaio sollevati a sei metri da terra e posti su piloni di cemento distanti 30 metri l’uno dall’altro) impiegando 35 minuti e quindi percorrendo i 560 chilometri che separano le due metropoli californiane a una velocità media di 970 km/h, con punte di 1.200 chilometri orari. Questo video https://youtu.be/G4d6BMj1HTk ne illustra le immaginifiche caratteristiche. Da allora esperti di innovazione nei trasporti, ingegneri, informatici, manager, venture capitalist e startup di tutto il mondo si misero in moto per realizzare il progetto, volutamente pensato in modalità open source, affinché chiunque ne avesse le competenze potesse sviluppare autonomamente l’idea iniziale di Musk. Decine di società sono state fondate in tutto il mondo, allo scopo di sottoscrivere accordi con le ferrovie locali e le aziende municipali, quindi ricevere finanziamenti e costruire il sistema (una anche da noi, Hyperloop Italia di Bibop Gresta). Il 21 dicembre 2023 Bloomberg annuncia che l’americana Hyperloop One (la maggiore delle società create ad hoc, che dal 2014 aveva raccolto 450 milioni di dollari in fondi di venture capital) ha dichiarato fallimento, chiuso gli uffici e licenziato i dipendenti. Fine della storia, nonostante le illusorie speranze di Bibop (che a dire il vero si chiama Gabriele) Gresta.

Ecco cosa, a mio sindacabile giudizio, accomuna questi fallimenti epocali:

1. Il tocco da Re Mida non funziona sempre. Anche se ti chiami Elon Musk, Marc Zuckerberg o Sergey Brin (era lui che nel 2013 andava in giro con il prototipo di Google Glass nella metro di New York) e le hai azzeccate praticamente tutte, succede che ne sbagli una. Premesso che sono proprio i Re Mida a dover provare e fare errori (sono gli unici a poterselo permettere, data la mole di denaro ferma sui loro conti, in attesa di acquisizioni o di sviluppo di nuove tecnologie), proprio da loro ci attenderemmo di sapere perchè abbiano gettato tutti quei soldi al vento e dove hanno sbagliato. Perché – gli imprenditori lo sanno – si impara più dagli errori che dai successi. P.S. secondo Business Insider, in due anni il metaverso sarebbe costato a Meta 46,5 miliardi di dollari di perdite; Musk ne ha spesi 44 (sempre billion-dollars) per comprarsi Twitter: che oggi, come X, vale meno della metà.

2. Guardarsi indietro e pensare avanti, ma non troppo. Il metaverso di Zuckie, almeno nella versione originale, assomigliava molto a Second Life, altro “epic fail” di inizio millennio, che non riuscì a convincerci che spendere soldi per farsi una “second life” fosse meglio che investirli nella “first life”, ossia che il virtuale (lavoro, affetti, eventi) fosse meglio del reale. Inoltre il metaverso nasce in piena pandemia, quando eravamo tutti costretti a casa e quindi l’idea di avere un avatar libero per il mondo era molto attraente. Forse, prima di mettere in secondo piano Facebook, la gallina dalle uova d’oro, e diventare tutto Meta, Zuckerberg avrebbe fatto bene ad aspettare un po’.  

3. Il prodotto non basta, ci vuole l’ecosistema adatto. Che senso ha sparare un passeggero a 1.000 km all’ora se il punto d’arrivo si trova a 5 km da una stazione ferroviaria o a decine da un aeroporto, e magari deve attendere mezz’ora per trovare un taxi? Che senso ha un metaverso la cui caratteristica costruttiva è la interoperabilità, ovvero la possibilità di spostarsi da una piattaforma all’altra conservando la propria identità e i propri beni digitali, se di piattaforme sul metaverso ne esistono svariate (Horizon Worlds di Meta, The Sandbox, Decentraland più quelle gaming di Fortnite e Roblox) e nessuna interagisce con l’altra?

4. Chiedersi qual è il valore aggiunto per il cliente / fruitore. Perché l’iPhone è stato un successo planetario? Perché ha messo nelle mani di 8 miliardi di terrestri un telefono, un PC, una macchina fotografica, un traduttore istantaneo, una lampada tascabile, uno scanner, uno specchio... e potrei continuare. I Google Glass “non erano utili, non assolvevano ad alcuna esigenza reale" commenta Warren Craddock, ex Senior Software Engineer di Google “I team di sviluppo erano troppo concentrati nel progetto per misurarsi con la realtà e non si sono mai chiesti quale valore aggiunto giustificasse la spesa di 1.500 dollari per indossarli”. Ci sono prodotti che “comprendono” la propria funzione anche dopo essere stati inventati (Amazon nasce come e-commerce di libri, Netflix per ricevere DVD per posta), ma i Google Glass, Hyperloop e il metaverso questa funzione – unica e insostituibile – non l’hanno mai trovata.

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