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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Apologia dei prezzi alti: perché è giusto che ombrellone e lettino costino un botto

A Ostia un lettino costa 50 euro, in Salento parcheggiare l’auto (abusivamente) costa 10 euro, a Como dividere un toast a metà costa 2 euro. “Prezzi impazziti”. “Crollo delle presenze di agosto in Sardegna”. “Il Governo intervenga”. Questi i titoli agostani dei giornaloni.

Ebbene, io affermo che pagare un sacco di soldi per ombrellone, spritz e fritto di mare è cosa buona e giusta. E provo a dimostrarlo.

Premessa teorica. “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse personale”. È sulla celeberrima affermazione tratta da “La Ricchezza delle Nazioni” dell’economista e filosofo scozzese Adam Smith (1723-1790) che si fonda la teoria liberista, secondo la quale un ordine economico può realizzarsi soltanto attraverso il libero svolgimento di attività individuali. In un libero mercato, la quantità richiesta di un bene (ovvero la Domanda) è inversamente proporzionale al prezzo del bene stesso: più alto è il prezzo (quindi l’Offerta), minore sarà la quantità richiesta. Riportato ai giorni nostri, se Marisa Melpignano, titolare della Masseria San Domenico a Fasano (che ha ospitato Madonna, Beckham e Chiara Ferragni) dichiara al Corriere che “Noi non abbiamo registrato alcun calo, la stagione sta andando bene” e vende una suite a 3.000 euro a notte, significa che Adam Smith aveva ragione.

Ad avere torto - sempre a mio parere, ovviamente – sono le anime belle che si scandalizzano e scrivono amenità del genere: “Quello che fa arrabbiare del turismo nostrano è la masochistica resistenza al cambiamento: non miglioriamo quasi niente, l’offerta è sempre la stessa, ci facciamo dei gran sogni sugli allori, tranne stressare oltre ogni limite la leva dei prezzi”. Cito la fonte: Fulvio Giuliani, prima pagina de “la Ragione” del 5 agosto 2023. Sarei curioso che il giornalista ci spiegasse quale sia “il limite dei prezzi da non stressare”: per una pizza, ad esempio. Al taglio da 5 euro, la Crazy Pizza di Briatore da 32 euro o quella gourmet con l’oro a 24 carati da 99 euro? È il mercato, signora mia.

1. La qualità si paga. “Chi decide di soggiornare da noi richiede e ottiene un servizio particolare. È esigente e la qualità premia sempre” sottolinea la signora Melpignano “Se un ristoratore chiede cifre sproporzionate, però mettendo in tavola tovaglioli di carta e cibo non di qualità, non ci stupiamo che gli ospiti rimangano a cena da noi, visto che a tavola trovano tovaglioli di lino e vengono serviti da personale che conosce le lingue”. Lo scandalo è mangiare spaghetti allo scoglio scotti e serviti da camerieri scortesi, a prescindere dal prezzo.

2. La comodità si paga. Testimonianza personale. L’ex premier Mario Draghi ha casa a Lavinio, costa tirrenica a sud di Roma, e scende in spiaggia alle 6.30 del mattino, per godersi il mare in solitudine. Il suo stabilimento affitta ombrellone e due lettini, ad agosto, a 30 euro. Per uno spuntino bastano 15 euro e il caffè costa poco più di 1 euro. A 200 metri di distanza si trova la spiaggia libera: ben tenuta, comoda da raggiungere, non costa nulla; e il bagno si fa esattamente nello stesso punto mare dove si tuffa Super Mario.

3. Le spese (pregresse) si pagano. Stabilimenti balneari e pizzerie, come fornai e negozianti, come aeroporti e compagnie aeree, sono reduci dal peggior biennio della storia moderna. Nel 2020/2022 non c’è stata solo una crisi, ma un’ecatombe, che ha causato danni incalcolabili, soprattutto a chi ha tenuto duro. A chi ha (spesso, non sempre) rimesso del suo e paga coi guadagni di oggi i debiti contratti ai tempi del Covid. La focaccia di Recco a 30 euro al chilo è più cara di quella del discount, ma la signora Pina che te la serve è lì da trent’anni, e speriamo che dio la mantenga in salute.

4. L’Italia è lusso, quindi si paga. L’altro giorno ho visitato il Museo Gucci (si chiama Gucci Garden) in Piazza della Signoria, a Firenze: magnifica la storia di un’impresa creata da un fiorentino, che ha appena compiuto 100 anni e detiene uno dei brand più amati al mondo. Nello shop, una giacca da donna in cotone costa 2.700 euro. Stesso modello, stesso cotone (ovviamente senza quel taglio e senza l’iconico monogramma con la doppia G) costa on line, da H&M, € 59.99. Ecco, l’Italia è come Gucci, si paga la qualità e pure il marchio, cioè la storia e la cultura del nostro Paese. A Saranda, costa albanese a sud di Tirana, ombrellone e lettino si trovano ancora a 10/15 euro e una birra a 5. Prezzi da fast-fashion.

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