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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Il turismo, un vaso di coccio tra i vasi di ferro della storia

Ero a Kiev nel 1985, l’Ucraina era una delle 15 Repubbliche Socialiste Sovietiche, a Mosca Mikhail Gorbaciov era stato appena nominato segretario generale del Partito Comunista Sovietico. Kiev corrispondeva all’immagine che noi occidentali avevamo del realismo socialista: casermoni grigi e poche auto in giro, hotel solo per stranieri e negozi Berjozka dove si comprava in dollari, tipi sospetti che per strada ti agganciavano per cambiare rubli e offrire ragazze, o tutte e due. Nella discoteca dell’hotel, accessibile solo a noi ospiti, a qualche maggiorente locale e alle “ragazze” di cui sopra, ascoltavamo “Russians” di Sting e pensavamo che - sebbene “the Russians love their children too” - il comunismo sarebbe durato per sempre. Pochi anni dopo, invece, tutto sarebbe crollato, l’Unione Sovietica cancellata dalla storia e l’Ucraina avrebbe guadagnato l’indipendenza.

Ero a Berlino Est a marzo 1989, io e la mia ragazza - tedesca dell’ovest - eravamo stati separati al checkpoint e ci ritrovammo dopo ore; si pagava con i marchi della DDR, ma non c’era nulla da comprare; all’angolo del Pergamonmuseum c’erano edifici distrutti dalle bombe della seconda guerra mondiale; sull’Unter den Linden potevi guardare la Porta di Brandeburgo, solo da lontano, e in fondo si stagliava il Muro. Sarei tornato a Berlino il 9 novembre 2009, in occasione del ventennale della caduta del Muro, e avrei trovato la città più moderna, più dinamica, più attraente d’Europa.

Ero a Dresda nel 1992, la Germania riunificata da meno di due anni, da Monaco la nuova autostrada aveva appena spianato le caserme della polizia di frontiera della DDR. Dresda era bellissima e triste, buia e vuota, sembrava non credere ancora alla fine della Guerra Fredda, del comunismo, del regime sovietico. La statua di Martin Lutero dominava le rovine della Frauenkirche, nel miserevole stato in cui era stata ridotta dal terribile bombardamento alleato del 1945. Sarei tornato a Dresda nel 2017, per fotografare la Frauenkirche completamente restaurata e riportata agli antichi splendori settecenteschi.

Ero a Kaliningrad, nel 2006, enclave russa tra Polonia e Lituania, sul Mar Baltico. In pellegrinaggio sulla tomba di Immanuel Kant, il grande filosofo tedesco che in quella città era nato e aveva vissuto tutta la vita. Solo che allora si chiamava Königsberg e fino al 1945 sarebbe stata la capitale della Prussia Orientale, regione da secoli di cultura tedesca. Visitarla implicava uno sdoppiamento: sparute tracce della culla del pensiero filosofico occidentale, che aveva generato illuminismo e idealismo; incombenti manifestazioni della presenza russa, dalle cattedrali ortodosse alla dismessa Casa dei Soviet. Oggi Kaliningrad ospita basi militari russe equipaggiate con missili di difesa aerea S-300 e S-400, i più vicini al cuore d’Europa (Danzica dista 160 km).   

Il turismo è un vaso di coccio tra i vasi di ferro della storia. Quando ero ragazzo Paesi come l’Unione Sovietica, la Germania Est, le Repubbliche Baltiche erano difficilmente raggiungibili. Non conoscevo nessuno che avesse visitato città come San Pietroburgo (ma allora si chiamava Leningrado) o Tallinn, Kaliningrad o Danzica. Chi si occupa di viaggi lo sa bene: si va dove si può, si viaggia dove la storia ci permette di andare. Viaggiare è un privilegio e una fortuna, dovremmo ricordarcelo più spesso.

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