Ultimo aggiornamento alle 10:33

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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Dopo la pandemia, rimetteremo il cliente al centro del business? Forse...

Sono due i comparti che (da quando esiste il marketing) dovrebbero mettere il cliente al centro del business: commercio e servizi. Del primo ho scritto recentemente, riconoscendo l’eccellenza di Amazon rispetto a un retailer (abbigliamento maschile) tradizionale. Oggi mi occuperò di servizi, registrando ahimè ancora arretratezza del “tradizionale” rispetto al “nuovo”.

Sono cliente di un noto gruppo bancario italiano (che abbrevierò con “x”), da più di trent’anni. Il mio primo stipendio, nel 1987, lo incassai sul mio primo conto corrente, aperto quando “x” non si chiamava ancora così. Da allora, due mutui accesi, tutti i proventi del mio lavoro sui conti di “x”, mai (mai) un “rosso”. Un cliente fedele e affidabile, credo, che qualche soldino alla banca l’ha fatto guadagnare, in così tanto tempo.

Lavoro in home-banking da anni, in filiale ormai non vado più. L’altro giorno dovevo effettuare un bonifico, solita schermata sul PC, IBAN accettato, in due minuti compio l’operazione. Qualche giorno dopo mi accorgo che il bonifico non è andato a buon fine (il cliente mi ha dato l’IBAN sbagliato, ma se ne sono accorti a operazione abilitata) e mi vedo addebitare 11 euro di “commissione per dati errati su bonifico”.

Ora, non è per gli 11 euro (è quello che pago per la tenuta del conto per cinque mesi, bei tempi quando c’erano gl’interessi attivi...), ma per il modo: come, l’errore non è mio e devo pure pagare?! Telefono al numero verde di “x”, mi dicono che non possono fare nulla, ma - forse - potrei rivolgermi al direttore della mia filiale. Telefono, dieci minuti di musichetta, il direttore è fuori stanza. Il giorno dopo mando un’email, risposta automatica “Sono assente per una settimana, per comunicazioni urgenti contattare la filiale”.  Contatto la filiale, nessuna risposta (evidentemente non sono urgente). Passa una settimana, silenzio su tutti i fronti, scrivo l’ennesima email. Dopo un minuto (uno!) mi telefona il direttore: “Sa che ero in ferie, non potevo risponderle prima, comunque non posso fare niente, quella è una spesa addebitata in automatico, mi spiace, arrivederci”.

Siccome sono testardo e - come cliente ultratrentennale - spero di contare qualcosa, scrivo una PEC al Servizio Clienti, che dopo un paio di giorni, mi risponde così: “Egregio ecc. ecc. la commissione di 11 euro addebitata è prevista in caso di dati esatti o incompleti o in caso di bonifico rifiutato o stornato, come risulta dal foglio informativo numero 068/xxx presente nella sezione trasparenza del nostro sito o presso le filiali del Gruppo. Non abbiamo quindi riscontrato alcuna responsabilità della nostra banca”. Citazione testuale.

Qual è la morale? Primo, che la burocrazia è nemica acerrima del customer care: certo che sarà scritto da qualche parte, che un IBAN errato si paga, ma nascondersi dietro un astruso articolo scritto in corpo 8 è troppo facile. Secondo, ho mosso almeno tre persone (il call center, il direttore e il servizio clienti) e nessuno - nessuno - si è preso la briga di controllare chi diavolo fossi e magari se la banca poteva fare un’eccezione per un buon cliente. Terzo, 11 euro non sono nulla, ma se ora “x” prova a vendermi - chessò - un abbonamento a Dazn o a Vodafone o a uno dei suoi cento partner, rifiuto, mando una PEC e invoco l’articolo numero 068/xxx.

Fosse capitato da noi, quegli 11 euro ce li avrebbe messi il t.o. (si chiama “intervento commerciale”) o l’agenzia, pur di non giocarsi il cliente per una cifra del genere. Turismo batte banche 1 - 0.

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