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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Perché la montagna d’inverno fallisce e a nessuno importa niente

Questo post vorrebbe spiegare perché un prodotto turistico di grande successo, la montagna d’inverno, stia letteralmente...andando a monte. Cominciamo da Gustav Thoeni, indimenticato campione di sci alpino, anni ’70 del secolo scorso: “Prima di me vincevano solo austriaci, tedeschi, francesi; era francese pure il nostro direttore tecnico. Poi la gente si appassionò. E siccome aveva messo qualche soldo da parte, cominciò ad andare in montagna. Ora purtroppo si scia meno, costa troppo. E ci sono molti altri sport...”. Alberto Tomba, ultimo campione di sci veramente popolare, direbbe probabilmente la stessa cosa.

Qualche dato eclatante, appreso da un documentato articolo de la Repubblica. Fra Tarvisio e Courmayeur ci sono oltre 1000 chilometri, nello spazio che collega il Friuli Venezia Giulia alla Val d’Aosta, diviso in sette regioni, vivono 4,2 milioni di italiani. Il turismo in montagna vale 12 miliardi di euro, dei quali 10 arrivano dalla neve e dallo sci: di quei 12, l’80% è generato da dicembre a marzo. Il giro d’affari degli impianti di risalita è pari a 1,2 miliardi, tutto il resto è l’indotto (alberghi, ristoranti, seconde case, maestri di sci, negozi al dettaglio ecc.) che permette di vivere agli oltre 4 milioni di “montanari”. Senza la neve e lo sci, nessuna famiglia di lassù può conservare lo stesso stile di vita.

Ancora, sono in corso i mondiali di sci a Cortina d’Ampezzo, premessa alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026, e l’evento trova a malapena spazio nelle pagine sportive.

Perché siamo arrivati a questo punto? Ecco la mia spiegazione, in tre punti, scusandomi per le inevitabili semplificazioni:

1. perché la montagna e lo sci sono passati di moda: quando ero ragazzo e abitavo al mare (!) il mio sport preferito era... lo sci; non solo ho imparato a sciare su un ghiacciaio, d’estate, ma il mio primo lavoro nel turismo è stato organizzare una settimana bianca per il mio liceo; era il 1978, portai 46 studenti da Anzio (Roma) a Cavalese (Trento) e di quella indimenticabile settimana si parla ancora, tra amici, dopo quarant’anni. C’era la “valanga azzurra” di Thoeni & compagni, c’era la novità, c’era la neve (sconosciuta a tutti coloro che abitavano a sud di Firenze) e soprattutto non c’erano alternative. Pochi anni dopo sarebbe arrivato il Mar Rosso e, col budget di una settimana bianca per una famiglia, a Sharm ci stavi due settimane. Lo sci estivo (all’epoca sullo Stelvio incontravi vagonate di romani, napoletani, baresi) sarebbe scomparso e - da vent’anni - se citi “settimana bianca” in qualunque agenzia di viaggi a nord di Roma ti guardano male. A sud, ti abbracciano.

2. perché i tour operator l’hanno abbandonata: cosa vi dicono nomi come Emiliviaggi, Diplomat Tour o Amicizia Viaggi? Nulla, perché erano piccoli tour operator romani che, quarant’anni fa, stampavano corposi cataloghi dedicati alla montagna d’inverno e facevano bei numeri. Ma erano soprattutto i villaggi invernali di Club Med, Valtur e Club Vacanze, una vita fa, a riempirsi senza problemi. Poi basta, e oggi l’unico tour operator che s’impegna sulla montagna è TH Resorts, il cui fondatore Graziano Debellini ha recentemente “messo la pietra tombale sulla stagione invernale 2021”.

Programmare la montagna è rischioso perché i prezzi sono alti (di tutto: hotel, attrezzatura, skipass, doposci....), perché non è più in cima alla lista dei desideri dei vacanzieri e infine perché - causa il riscaldamento globale, tra l’altro - si resta aggrappati alla presenza della neve e, nonostante cannoni e innevamento artificiale, non sempre basta.

3. perché non c’è stata visione, da parte delle località montane: questo è un discorso che vale per le grandi (da Cortina a Courmayeur, da Madonna di Campiglio a Sestriere), perché per le piccole (da Garessio a Foppolo a Sella Nevea) non è possibile fare marketing. Dopo il boom del secolo scorso, con Thoeni e Tomba, lo sci è rimasto appannaggio di chi lo praticava già. In tempi recenti, il carving, più facile, e le piste, sempre più piallate, hanno reso la pratica più semplice e più divertente, ma non hanno allargato la base di utenti. Snowboard prima e free-style dopo si sono rivelati dei fuochi di paglia, ristretti a tribù (si identificano così) di adepti: giovani, pochi e - ovviamente - col  portafoglio pieno. Quale evento pubblico e popolare, svoltosi in quota, ricordate di aver visto sul TG1? Avete mai seguito un trend topic che parli di montagna, di neve, di sci? La Ferragni, per dirne una, ha mai postato una story su Instagram, appollaiata sulle Tofane o da Punta Helbronner? La montagna d’inverno ricorda un po’ la Liguria: cara, conosciuta, frequentata da chi ha i mezzi e non ha più vent’anni.

“L’uomo vive sulle Alpi da 5mila anni. Non esisteva lo sci, non esisteva il turismo”, dichiara Reinhold Messner. “L’uomo continuerà a viverci, questo shock (la pandemia - ndr) ci può aiutare a recuperare una storia. Ora possiamo camminare dove non c’è nessuno”. Visione romantica e condivisibile, quella del più grande alpinista italiano di tutti i tempi. Ma non genera i 12 miliardi che fanno campare 4 milioni di connazionali.

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