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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Lo smart working non funzionerà nei tour operator italiani, per 4 semplici motivi

La tesi di questo post è molto semplice: i tour operator italiani non applicheranno lo smart working e chi ci proverà ne pagherà le conseguenze. Negative.

Due premesse, una temporale e una terminologica. Quello che abbiamo visto finora è nulla, perché quando terminerà “l'ombrello protettivo del divieto di licenziamento e della cassa integrazione in deroga Covid-19, sul mercato del lavoro si scaricheranno tutti gli esuberi che le aziende hanno già messo in conto” si legge su Affari & Finanza del 14 settembre “e solo allora, all’inizio del prossimo anno, si potrà fare un conteggio più preciso di quanto sarà costata, sul piano sociale, la crisi della pandemia”. Quindi la botta non arriva adesso, ma nel 2021, quando gli stessi tour operator auspicano che ci sarà la ripresa.

Secondo, si fa ancora (molta) confusione tra lavoro da casa (telelavoro o lavoro da remoto) e smart working. Il primo implica semplicemente il mancato spostamento dalla propria abitazione al posto di lavoro: di fatto, si gestiscono le attività dal proprio studio tra le mura domestiche; si rispettano i ritmi e gli orari delle giornate in ufficio e si rispondono alle medesime gerarchie e agli stessi compiti “di prima”. Lo smart working invece è diverso, implica una certa elasticità e un drastico cambiamento della filosofia stessa del lavoro: le giornate non sono più scandite dagli orari, ma dagli obiettivi. Come per i liberi professionisti, si richiede  flessibilità, autonomia e responsabilità, ognuno gestisce il proprio tempo in autonomia e ha come unico vincolo il rispetto delle scadenze e delle consegne. In estrema sintesi, chi lavora da casa ha come parametro il tempo dedicato al lavoro; chi opera in smart working lavora per obiettivi: se fatica di notte o di giorno, dalla cucina o dallo chalet in montagna, non importa a nessuno. Cosa ha fatto la maggior parte degli italiani negli ultimi mesi? Semplice, lavoro da casa.

Ciò premesso, ecco 4 motivi per i quali lo smart working non può funzionare nei tour operator italiani:

1) la struttura organizzativa dei t.o. non è adeguata: Alpitour a parte, tutti (tutti) gli altri tour operator italiani sono imprese a gestione prevalentemente artigianal-familiare, con l’imprenditore/fondatore spesso ancora al posto di comando, come scrivo da sempre. Il modello organizzativo è simile alla bottega artigianale della Firenze dei Medici: serve un Cimabue per generare un Giotto, come serve un Michele Serra per generare una Mistral o un Danilo Curzi per alimentare una Idee per Viaggiare. Lo scambio, il confronto, lo scontro, quotidiano e “in presenza” (orrido neologismo, ma ormai si usa), non sono un’opzione, ma una ragion d’essere: un nuovo villaggio, una nuova catena charter, una nuova destinazione non nascono per telefono.

2) i contratti di categoria vanno rifatti da capo: il 15 ottobre, con la fine dello stato di emergenza, termina la procedura semplificata che ha permesso alle aziende di decidere unilateralmente sul lavoro da remoto e quindi applicare il “tutti a casa”; da allora si ripristina la legge 81 del 2017, che prevede l’accordo individuale con il singolo lavoratore, come condizione per ricorrere al telelavoro, sempre che il Ministro del Lavoro e le parti sociali (sindacati e associazioni datoriali) non si mettano d’accordo e promulghino una nuova legge sul lavoro. E secondo voi dipendenti e sindacati rinunceranno alla retribuzione basata sul tempo (le canoniche 8 ore lavorative quotidiane) per accettare di essere pagati per obiettivi? Quali? E chi li stabilisce? E chi li misura? E che fine faranno i permessi, la malattia, i ticket restaurant? E mi fermo qui.

3) Zoom e Teams non sostituiscono sala riunioni e trasferte in loco: pare che ai tempi del confinamento (9 marzo/3 maggio 2020) fossero 8 i milioni di italiani che lavoravano da casa, e tutti ricordiamo - non necessariamente con nostalgia - la valanga di webinar, dirette streaming e conference call in video alle quali abbiamo partecipato (sul tema ci ho scritto pure un vademecum). Ora basta. Viaggiare è un’esperienza, la vacanza è un prodotto che si consuma in loco, quindi i presupposti sui quali si fondano sono concreti e analogici. Cioè di persona. Chissà cosa avrebbe fatto Bruno Colombo se la spiaggia del Dominicus, nel 1985, l’avesse vista solo su Skype.

4) i giovani non si formano on line: “Noi abbiamo semplicemente sospeso gli stage, quindi il programma di inserimento per i nuovi assunti: come si può formare un concierge o un sous-chef in remoto?!” rivela l’HR director di una delle maggiori catene alberghiere del mondo. Come si può formare un PM junior senza un’area manager che gli spieghi la differenza tra Canarie e Baleari, e tra Ibiza e Formentera? E un commerciale che deve saper vendere individuali, e pure corporate, alle agenzie? In diretta Facebook?! Se i tour operator sono una bottega artigianale, i giovani in quella bottega ci devono andare. Visto che chi ha perso il lavoro, per la pandemia, è spesso giovane e più spesso donna, basterebbe questo per bocciare lo smart working.

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