Ultimo aggiornamento alle 09:57

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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Come fare un buon webinar (ed evitare errori da principianti)

Ho partecipato a dieci webinar in tre giorni. Promossi da associazioni di categoria e tour operator, da società di consulenza e manager di buona volontà, tutti dedicati all’emergenza che stiamo attraversando e a come uscirne fuori. Ho sperimentato Gotowebinar e Cisco Webex Meeting, ho imparato un sacco di cose e ho assistito a micidiali cappellate (si può dire cappellate?). Ecco un vademecum per fare un buon webinar, fermo restando quanto dichiara il cantautore Brunori Sas: “Gli streaming sono surrogati dei concerti ancor peggiori di quanto sia l’orzo rispetto al caffè. Roba che puoi farti propinare solo se non c’è l’originale”. I webinar ci vengono propinati soprattutto perché non ci possiamo vedere di persona e stringere la mano.

Il webinar non è una diretta su Facebook né una conference call. Quindi non vale il tono da cazzeggio (si può dire cazzeggio?) da social, né equivale alla telefonata con i colleghi che lavorano lontano. Il webinar assomiglia di più a un seminario (appunto, web + seminar) o a un convegno, con i relatori che parlano a una webcam e il pubblico che assiste tramite il monitor, ma con alcune fondamentali differenze. Del relatore si vede solo il volto, quindi non può comunicare né con le mani né con il corpo: tutto è concentrato in pochi centimetri quadrati. Volto che dev’essere ben rasato per un uomo e sobriamente truccato per una donna. Capelli in ordine per entrambi. Attenti al busto: ho visto il webinar del CEO di un’azienda quotata che indossava un maglioncino con sotto, in bella evidenza, la maglia della salute. Ho visto un manager con la barba di 20 giorni (appunto, l’inizio del lockout). Non dico la cravatta, ma una camicia bianca ben stirata, sia per lei che per lui, è l’ideale.

Dettagli sottovalutati: sfondo, inquadratura e voce. Di questi tempi, il webinar si fa da casa, quindi lo sfondo è fondamentale. Perfetta la classica libreria o una parete neutra, meglio ancora con il logo della propria azienda, riportato distrattamente su un papiro egiziano o su un batik indonesiano. Evitare scaffali desolatamente vuoti, ripiani con i testi di scuola delle medie, copertine di libri ambigui (chessò, Il kamasutra nell’India del VI secolo o Il libro delle barzellette di Totti) e soprammobili di dubbio gusto (il busto di Lenin o le bomboniere della prima comunione, per dire). La luce è importante, visto che l’unica cosa che si vede è il volto. Ho assistito a webinar nei quali il relatore era al buio e alle sue spalle si accendeva un tramonto di fuoco; ho visto relatori miopi che non volevano usare gli occhiali per leggere la chat, quindi di loro si vedeva soltanto naso, mento e collo. Se il volto è importante, la voce ancora di più: parlare scandendo bene le parole, usare terminologia da convegno (quindi niente “annamo, su” né “uè, raga”) e soprattutto rivolgersi al microfono del laptop e non andare in giro per la stanza ad annaffiare le piante.

Pericolo: quando si è in tanti a parlare e in tantissimi ad assistere. Il webinar più semplice è il “one to many”; uno parla, tutti gli altri assistono (meglio se passivamente). Quando i relatori sono due, quattro o più le cose si complicano. Peggio quando i relatori sono tanti e chi assiste può interagire con loro. Qualche consiglio per non cadere nello svacco da tinello (si può dire tinello?). Un moderatore è sempre utile: permette al relatore di essere concentrato sullo speech, controlla i tempi e fa da tramite con gli spettatori. Domande si o no? Sì, ma scritte. Lo speaker parla per i suoi 20 minuti (dopo, la soglia di attenzione si inabissa) e quindi risponde alle domande della platea, lette dal moderatore, che le seleziona. Perché il pericolo è che a una domanda tipo “Quali sono le conseguenze a livello fiscale del decreto liquidità?” segua “Io sono un parrucchiere, quand’è che posso riaprire?”. Ma quanto dura ‘sto webinar? A tutti piace parlare, anche dal tinello, soprattutto se non interrotti. Quindi la tendenza a sforare c’è ed è alimentata da un “non detto” che suona più o meno così: “Stiamo tutti a casa, non abbiamo un piffero (si può dire piffero?) da fare, che differenza c’è tra 60 o 90 (o 120 minuti)?!”. C’è eccome, quindi i tempi si rispettano, e ci si scusa se si va lungo.

Il post webinar è importante quanto l’inizio. Due errori che ho constatato in 8 webinar su 10: le slide che il relatore ha presentato, e promesso che avrebbe mandato a tutti, non mi sono mai arrivate. A saperlo avrei preso appunti; anzi, avrei fotografato lo schermo con l’iPhone, che si fa prima. Secondo, il moderatore ha promesso che gli spettatori avrebbero ricevuto risposta privata alle domande alle quali il relatore non ha potuto rispondere, per mancanza di tempo: dopo, nessuno si è fatto vivo. Allora vien da pensare che abbiano avuto risposta le domande “pettinate” più di altre.

Chiudo. In nessuno, ripeto, in nessuno dei miei 10 webinar ho visto il relatore fare un bel sorriso alla web cam e quindi al suo pubblico da casa. Perché? Va bene, il momento è tragico, non si può scherzare con le vite altrui e siamo tutti nella m (questo non si può dire). Però un sorriso di incoraggiamento, aperto e sincero, apre comunque il cuore.

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