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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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Le nuove tecnologie ci vogliono stupidi, ignoranti e senza privacy

Big Data? Superati, e poi nessuno ha ancora capito cosa farci. Chatbot? Rimandati, perché un robot più di quattro frasi in croce non riesce a metterle in fila. Ecco i nuovi mantra: blockchain (questa ve la risparmio) e A.I. (ovvero intelligenza artificiale, ma fanno più figo le iniziali).

Infilate blockchain e A.I. in qualsiasi discorso che attenga le tecnologia applicata al turismo, e guadagnerete il credito di nerd e geek (se non sapete cosa siano, siete proprio fuori dal giro).
La mia tesi è che, siccome l’A.I. consiste in “software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che a un osservatore comune sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”, a chi li produce conviene che gli utilizzatori - cioè noi - siano stupidi, ignoranti e senza privacy. Più stupidi, ignoranti e senza privacy siamo, meglio è.

Ve lo dimostro. Qual è la capitale dell’Estonia? Vabbè, non è la prima che viene in mente, ma cos’è più facile? Scervellarsi e rimembrare nozioni di geografia risalenti al liceo, oppure cliccare “capitale Estonia” su Google, per scoprire che è Tallinn?! A che serve studiare, se hai il mondo a portata di click? Quindi, viva l’ignoranza.

Hai comprato un libro su Amazon o un film su Netflix, e ora - tutte le volte che navighi sul browser - ti vengono fuori pubblicità coerenti con le tue ricerche: il libro era “Origin” di Dan Brown? Allora beccati tutta la bibliografia, dal codice Da Vinci in poi. Hai visto Wonder Woman su Netflix? Allora goditi Spider Man, i Fantastici Quattro e pure The Avengers 1, 2 e 3. Vuoi volare più alto? Vabbè, allora segnati quando Blade Runner 2049 andrà in streaming. Intanto, però metti il cervello in naftalina e fatti dire da un algoritmo cosa leggere e come passare la serata. Quindi, viva la stupidità.

Ormai non ci facciamo più caso, ma autorizziamo costantemente i social network a farsi gli affari nostri. Sei online su Whatsapp? Bene, so che stai smanettando proprio in questo momento. Hai postato una foto su Instagram? Ah, sei al mare a goderti questa ottobrata, altro che in ufficio a lavorare. Hai chattato su Master Chef? Caspita, non hai detto che avevi la lezione di russo?! Ovvio che FB & C. coi tuoi dati ci facciano del business, poi. Quindi, aboliamo la privacy.

Però qualcuno si pente, per fortuna. Justin Rosenstein è l’informatico che nel 2007, in Facebook, ha inventato la funzione che ha cambiato la vita di quasi due miliardi di utenti, il tasto “like”. Oggi fa parte di un gruppo eretici della Silicon Valley che lottano proprio contro quelle piattaforme - social network in primis - che hanno contribuito a creare un’economia dell’ “attenzione”, che rubano il nostro tempo al mondo che ci circonda. “Al posto di ammirare un panorama, monitoriamo quanti “like” la foto che abbiamo scattato sta macinando” dichiara il nerd pentito. “È molto comune sviluppare cose con le migliori intenzioni e poi assistere a conseguenze imprevedibili e negative”. Viva la sincerità.

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