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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter
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UberPop, Gnammo e BlaBlaCar: i pericoli (anche per il turismo) della sharing economy

Airbnb ha fatto da apripista, poi è arrivata Uber: entrambe fondate a San Francisco.

In Europa si sta facendo strada la francese BlaBlaCar e in Italia, visto che la cucina è il nostro forte, Gnammo. Tutte e quattro sono esempi di sharing economy: secondo Wired, “una forma di organizzazione socio-economica basata sull’accesso anziché sul possesso, sull’utilizzo anziché sull’acquisto”. Frutto della crisi (si risparmia), della globalizzazione (un business model fortunato funziona sia a San Francisco che a Napoli) e della pervasività del web (soprattutto con accesso da mobile).

Airbnb mette in contatto chi cerca un alloggio o una camera, per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio da affittare, generalmente privati. Uber fornisce un servizio di trasporto automobilistico, assimilabile a quello di un taxi, attraverso un’app che mette in contatto passeggeri e autisti autorizzati; ma UberPop permette di contrattare passaggi auto tra privati. BlaBlaCar è un sistema di “social travel”, grazie al quale è possibile offrire un trasferimento in auto a qualcuno che fa lo stesso itinerario, per dividere i costi del viaggio (che peraltro vengono calcolati direttamente dal sistema, senza contrattazioni fra guidatore e passeggero). Se Uber e UberPop tendono a sostituire le corse cittadine dei taxi, BlaBlaCar è usata sulle lunghe distanze (la media è di 320 chilometri), quindi la concorrenza è ai mezzi di trasporto alternativi all’auto (aerei, treni, pullman).

Il social eating è una realtà consolidata a Londra e nelle metropoli USA. “Fino al 2010 ho vissuto a New York e ho scoperto questo tipo di cene, feste, speakeasy” racconta la titolare di nonsolofood.com “Da quando vivo a Milano ho aperto casa mia a single, coppie, gruppi di amici: sconosciuti che si ritrovano a fare colazione o a cena nella sala da pranzo di una sconosciuta, ma io faccio di tutto perché si sentano a proprio agio come a casa loro. Al termine della colazione o della cena, si lascia il contributo per la spesa, che ovviamente include anche il lavoro della cuoca nella preparazione”.

Poi è arrivata Gnammo, la prima piattaforma italiana dedicata al social eating, che “offre a tutti, appassionati di cucina e cuochi professionisti, la possibilità di organizzare pranzi, cene ed eventi a casa propria o in qualsiasi location. Non serve esse cuochi provetti, basta la voglia di mettersi in gioco e di conoscere persone nuove, sia come Gnammer (l'ospite) che come Cook (il cuoco)”. Gnammo incassa i pagamenti in nome e per conto del Cook, non trattiene commissioni (al momento) e il giorno dopo bonifica il dovuto al Cook. Per il servizio, Gnammo si affida alla buona volontà del Cook: “Gnammo in futuro certificherà i Cooks eccelsi, ma al momento ci aspettiamo che siano rispettate le normali norme igieniche che spero tu sia abituato ad osservare a casa tua, per te stesso”. Speriamo bene.

Insomma, con Airbnb si diventa affittacamere, con UberPop tassisti, con BlaBlaCar autisti, con Gnammo cuochi. Tutto senza licenze, tutto senza alcuna autorizzazione, tutto - non sempre, ma capita - con pagamenti in nero. Ma soprattutto, di un mestiere improvvisato si ottiene il lucro, cioè gli onori, e non gli oneri, tasse e licenze. Chi affiderebbe la propria salute a un veterinario?! Chi il progetto della propria casa a uno che disegna bene?! Chi il proprio viaggio di nozze all’amico smanettone?! Ops, questo succede già...

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