I segnali che indicano come molti – non tutti, però molti davvero – si siano decisi a riattraversare il ponte ci sono e si moltiplicano. Il ponte è quello che allaccia la sponda del reale con quella del virtuale. Su questo ponte, grosso modo negli ultimi vent’anni, conoscenza e aggiornamento professionale hanno seguito un unico senso di marcia, in fuga dal reale (aule, sale conferenza) verso il nuovo universo del virtuale (tutorial, videolezioni). Fin qui niente da stupirsi: la psicologia insegna che la ricerca di cambiamento, il cosiddetto “desiderio d’Altro”, è faccenda del tutto umana. Se poi a questo si aggiunge l’entusiasmo per il ‘tutto qui, subito e gratis’ promesso dalla Rete, non è difficile comprendere le ragioni della lieta migrazione.
Con l’andare degli anni l’uso e l’usura hanno però graffiato lo sfavillante smalto del web-toy, che incomincia a mostrare le prime crepe. Lo testimoniano le moltissime persone che da inizio a fine fiera affollano le Arene a TTG Travel Experience. Tutte lì schierate per ascoltare chi – dal vivo - porta nuove voci e nuove visioni, offrendo considerazioni e pensieri da appuntare, meglio se su carta e manualmente. Roba superata? Niente affatto, perché questo è il suggerimento delle più avanzate scuole della Silicon Valley, dove ai figli dei vari guru del web è vietato l’uso dei computer. La ragione è che “inibirebbero il pensiero creativo, il movimento, l’interazione umana, i tempi di attenzione”. Teorie avallate peraltro dall’incensatissimo ateneo di Princeton dove, come ricorda il filosofo Paolo Ercolani nel suo ultimo libro “Figli di un io minore”, la scrittura a mano è stata decretata “più efficace di quella su tastiera per fissare nozioni e conoscenze all’interno della memoria a lungo termine”. Segni di una migrazione di ritorno fatta di professionisti che pur continuando ad attingere conoscenza dallo sconfinato serbatoio del web, non sono più pronti a smarcarsi con disinvoltura dalle tradizionali modalità di aggiornamento. Quantomeno non del tutto e non definitivamente come magari avrebbero allegramente fatto qualche anno fa.
Non mi pare a questo punto un azzardo pensare che tutto ciò ben si leghi ai recenti libri volti a rivalutare la figura del ‘maestro’, quello vero, che – come specifica Gustavo Zagrebelsky in “Mai più senza maestri” – avvia alla “ricerca di una verità sempre segnata dal dubbio”, contrariamente a quanto spesso fa la Rete.
Rossella Cappetta, professore associato in Bocconi, nel suo “Apprendimento non stop”, aggiunge che formazione e relazioni umane incrementano benessere e produttività. In caso contrario “si ammalano socialmente e fisicamente le persone per la difficoltà di relazionarsi agli altri e al contesto. E si ammalano le imprese per mancanza di idee e di innovazione”.
Certo per apprendere ci vuole tempo, come sottolinea la pedagogista Luisa Piarulli nel freschissimo “Tempo di educare, Tempo di esistere”. Ed è a suo parere fondamentale ricominciare a ritagliarsi il giusto spazio per rispondere alle “domande che non hanno risposte precostituite” e che pertanto non sono delegabili alla pura logica algoritmica del web. Rispondere alle domande complesse implica infatti “la capacità di elaborare un pensiero, di saperlo contestualizzare, di saper relativizzare”. E per fare ciò occorre un tempo speciale ed esclusivo, da dedicare alla riflessione, al dialogo, all’ascolto. Quello che probabilmente si torna a cercare anche nei momenti di aggiornamento professionale in aula. “Il tempo della lentezza che – sottolinea Piarulli – è dopotutto anche il tempo dell’Umano”.