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Viaggi di marketing

Paola Tournour-Viron, divulgatrice per professione e per passione
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Vacanza intelligente. Da morire

Al di là delle interessanti motivazioni variabilmente tecniche illustrate da Roberto Gentile in merito alle difficoltà, per gli operatori del turismo italiano, di giungere alla tanto agognata destagionalizzazione, esisterebbe da parte della domanda un freno emotivo e marginalmente filosofico capace di vanificare ogni eventuale possibile sforzo da parte dell’offerta. Lo spiega in uno dei suoi saggi* Stefano Zecchi, accademico italiano già professore ordinario di estetica presso l’Università degli Studi di Milano. La sua interpretazione esula ovviamente dagli schemi tecnici, ma credo meriti quanto meno di essere considerata tra le possibili variabili.

Perché – si domanda in sintesi Zecchi – il ricorrente invito a viaggiare in periodi alternativi non è in fondo mai stato preso in seria considerazione dalla maggioranza dei connazionali? Le spiegazioni possono essere moltissime, sostiene, ma “una domina su tutte: la bellezza dell’abitudine”. E anche se “per una mentalità scientifica ed efficientista come quella moderna, l’abitudine rappresenta uno stato d’animo regressivo, irrazionale, che deve essere inibito” al fine di dare finalmente corso all’era della cosiddetta ‘Vacanza Intelligente’, poco importa. In primis ai vacanzieri.

Pur avendo indubbi vantaggi se non altro dal punto di vista logistico e degli spostamenti”, questo genere di proposta spazzerebbe infatti via, impietosamente, la più radicata tradizione vacanziera. Una tradizione fatta di abitudini che – come puntualizza l’autore – nulla avrebbero “a che fare con un atteggiamento passivo o con uno stato d’animo privo di curiosità” della persona. Hanno invece a che fare con la rassicurazione – del tutto irrazionale, si intende - data dalla ritualità, cioè da quella ciclicità di piccoli appuntamenti della vita che regala a tutti noi l’illusione di una impossibile fine. “Il rito – spiega infatti Zecchi - ci rassicura perché unisce la finitezza e la caducità dell’esistenza a un evento che periodicamente si ripresenta”.

E così la nostra esistenza, che scorre in un tempo lineare, con un ingovernabile inizio ma soprattutto con una temutissima fine, viene ad assumere proprio grazie al rito un andamento circolare, senza un principio dunque e, soprattutto, senza un traguardo.

Il ciclico ritorno della vacanza nei modi e nei tempi del nostro personalissimo rito, ci è caro proprio per questo. E per questo ci risulta difficile spezzarne il ritmo: vogliamo poter sperare che ogni anno si ripeterà, all’infinito.

Non so quanto sia consolante il fatto che tutto ciò non riguardi solo il prodotto turistico. “Molte delle nostre deprecate abitudini – ricorda infatti l’autore - sono in realtà piccoli riti”. Che architettiamo per illuderci di poter interrompere la corsa del tempo verso la fine.

*”Il Brutto e Il Bello. Nella Vita Nella Politica Nell'Arte”, Mondadori, collana Passepartout

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