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Viaggi di marketing

Paola Tournour-Viron, divulgatrice per professione e per passione
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L’Italia, il principe e il cappello

Il cappello. La chiave di lettura sta tutta lì, nel cappello. In quel disegno che l’autore del Piccolo Principe aveva tratteggiato a sei anni per rappresentare un boa intento a digerire l’elefante inghiottito, e in cui ogni adulto, deprivato della fantasia primigenia, si ostinava a vedere un cappello.

La chiave sta lì: nel punto di vista. Questo ha voluto dirci Lorenzo Marini, quando a TTG Incontri è venuto a parlarci di come migliorare la comunicazione del prodotto Italia. Se non mutiamo il punto di vista, se ci ostiniamo a darne una lettura superficiale e affrettata, quella che sta nella testa dei più, continueremo a non vedere l’elefante nascosto nel boa.

Marini però non è un uomo di marketing o di economia di impresa. È un visionario, laureato in architettura, che oltre a fare il pubblicitario (uno dei più grandi, ricordate il celebre spot “Silenzio, parla Agnesi?”) crea opere d’arte che appende nelle gallerie da una parte all’altra dell’Atlantico. Uno che compra pagine di quotidiani per promuovere il “Movimento per la liberazione delle lettere”, quelle dell’alfabeto, niente a che vedere con la letteratura. Le lettere dell’alfabeto (per chi si limita a vedere il cappello), che lui (che sa invece trovare l’elefante nel boa) vede come creature “nate libere”, “sociali”, come “segni architettonici per creare paesaggi”, come “la nostra rivincita sul grigio della malinconia, sul nero della logica”.

È uno così, per cui la logica è “nera”. Dunque, quando tiene una conferenza, non propone formule, ma ti prende per mano e ti trascina oltre la bidimensionalità di una slide, su un altro pianeta; quello, appunto, del Piccolo Principe. E non ti dà ricette comode, non ti spiega che quello che vedi può non essere un cappello ma qualcosa di straordinariamente più complesso, vuole che tu quella cosa la capisca e la faccia da solo, altrimenti non riuscirai mai – davvero – a cambiare il tuo punto di vista, e la tua comunicazione.

E allora ti parla del capitolo XXI del libro di Saint-Exupéry, opera che lui reputa essere anche un manuale di comunicazione e di pubblicità “fantastico, che però non è stato scritto da un pubblicitario”. E ti dice che se vuoi trovare nuove soluzioni per  promuovere l’Italia o un qualunque prodotto di viaggio, non puoi continuare a usare le parole di tutti (il cappello)  – “oasi di pace”, “splendida cornice”, “dotato di ogni comfort”, “nel cuore di”, “sentirsi a casa” – ma devi scendere nel profondo (cercare l’elefante nel boa) perché oggi alla pubblicità si chiede seduzione, e se non seduci, non vieni ricordato.

Poi ti spiega che “ogni marca – e l’Italia è una marca – dovrebbe ricordarci qualcosa di più grande, di più immenso del prodotto stesso”, che l’impatto generato dalla quantità (dei prodotti offerti, elencati o ammassati in brochure, cataloghi e siti) non funziona più. “Perché stiamo vivendo un momento di paura e non vogliamo una comunicazione muscolare, ma una comunicazione che trasmetta armonia”. Questo significa che l’azione tattica non è di questo tempo, anche se il turismo si ostina a utilizzarla e a prediligerla.

“Addomesticare significa creare dei legami”, dice la volpe del capitolo XXI al Piccolo Principe, e il compito della pubblicità è creare legami solidi tra consumatore e marca, cosa impossibile se non si utilizzano le tecniche giuste. “Se tu mi addomestichi – continua la volpe – noi avremo bisogno l’una dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. Questo dovrebbe pensare il consumatore di un prodotto, di una destinazione.

Non è quindi importante raccontare al turista cosa gli si offre, ma come si sentirà quando avrà usato quel prodotto, quando avrà visto quel luogo. Bisogna dirgli perché dovrebbe sceglierlo e perché potrà diventare per lui qualcosa di “unico al mondo”. Tutto ciò perché sempre di più oggi il turista sceglie con il cuore e non con gli occhi. Perché “L’essenziale è invisibile agli occhi”, ricorda Marini citando Saint-Exupéry, spiegando che la soluzione non sta nel rimpinzare gli occhi del cliente con panorami e cose da fare; ciò che conta è puntare al cuore.

Fine della conferenza. Chi è riuscito a decollare con lui, si è spinto oltre la superficie del cappello. Chi invece è rimasto a terra, continuerà a dissertare di cose già viste e già sentite. Accade spesso e non è la fine del mondo, semplicemente non si cambia.

“Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita – scriveva Saint-Exupéry – Quando ne incontravo una che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno, che ho sempre conservato. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “È un cappello”. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo sensibile”.

twitter@paolaviron

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