Ultimo aggiornamento alle 10:48
|

Il misterioso caso
del turista fantasma

di Cristina Peroglio

C'è uno spettro che si aggira per l'Italia. È quello dei turisti, tanti, davvero tanti, che popolano la Penisola ma che restano invisibili per il Pil nazionale.

Perché il ritornello per il quale l'Italia sta perdendo numeri rispetto ai competitor internazionali è, alla fine dei conti, un falso.

Lo raccontano i dati che ha diffuso Confcommercio a Cernobbio qualche giorno fa: con 50 milioni di arrivi internazionali, l'Italia si colloca in un'ottima posizione come destinazione. Il problema vero è che tutti questi arrivi (molto simili a quelli della Spagna, che ci è davanti per soli 800mila pax e ben superiori a quelli della Francia, ferma a 42 milioni) non producono denaro.

Non abbastanza, rispetto a quanto intascano i nostri principali competitor europei. In Italia la spesa per ogni arrivo è di 681 euro, in Francia di 914, in Spagna di 959.

Il primo segnale di una distorsione del traffico turistico in Italia è arrivata, in tempi non sospetti, dagli albergatori di Roma e del Lazio, che già circa un anno fa raccontavano che il turismo della Capitale stava diventando sempre più mordi e fuggi, sempre più low cost. Un malanno che sembra aver contagiato tutto il Belpaese. Con tutte le conseguenze del caso: aumentano le spese dei Comuni, aumentano i costi di gestione per i trasporti, la sicurezza e via ad aggiungere, senza avere in cambio (quasi) niente.

Il trend 'Tanti arrivi, pochi soldi', dice Confturismo, è provocato dalla "mancata valorizzazione di elementi attrattivi e da una scarsa integrazione dei servizi sul territorio che fanno sì che il nostro Paese non sia in grado di proporre ai turisti stranieri un 'bouquet' di offerta più ampio".

Suona assurdo, in un territorio che ha 7mila chilometri di coste, 50 siti Unesco e un patrimonio culturale che il mondo ci invidia. Suona assurdo, ma è il tema del prodotto, il prodotto che non c'è, come si intitolava la tavola rotonda organizzata da TTG Italia qualche giorno fa.

Con buona pace dei tour operator, che sostengono invece il contrario, ossia che di prodotto ce ne sia e tanto, questa volta i dati sembrano dare ragione alle agenzie: se nessuno offre il modo di assaggiare la ricchezza culturale dell'Italia, i turisti la loro ricchezza se la tengono nel borsellino e la spendono in casa dei nostri competitor.

Leggi anche: confcommercio
/* */

TI INTERESSA QUESTA NOTIZIA? ISCRIVITI A TTG REPORT, LA NEWSLETTER QUOTIDIANA

Commenti di Facebook


Torna su
Chiudi