Ultimo aggiornamento alle 14:07

Diritto al Turismo

Gianluca Rossoni, Avvocato - Docente di Legislazione del Turismo
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La difesa legale della online reputation

Le nuove formule di commercializzazione online dei servizi turistici sempre più impongono uno sforzo giuridico nell'inquadrare i casi pratici in continua evoluzione rispetto alla normativa vigente, quest'ultima sempre più tesa a rincorrere la prassi applicativa anziché creare una base legale ex ante.

A tal fine appare significativo inquadrare, dal punto di vista giuridico, un tema di assoluta rilevanza ed attualità relativo all'attività legata alla reputazione in internet sia dal lato degli operatori turistici (c.d astroturfing) sia dal lato degli effetti delle recensioni turistiche da parte degli utenti.

Con il primo termine s'intende quando un'impresa supera i limiti di un'onesta e trasparente informazione alla clientela e di una corretta tutela della propria immagine, generando l'idea dell'esistenza di un'opinione degli utenti spontanea e naturale che in realtà cela artifizi e raggiri ai consumatori anche mediante l'utilizzazione di certi tools automatici, sino a sfociare nella creazione di veri e propri falsi utenti (sockpuppets).
Non vi è dubbio che tale attività sia ingannevole e pregiudizievole verso i consumatori e con profili antigiuridici di concorrenza sleale.
È evidente come la prassi su descritta vada oltre il tollerato puffing cioè un'opinione o giudizio che non è fatto per essere una semplice rappresentazione di fatti (“lo scenario meraviglioso” o “la spiaggia incontaminata” o “l'ospitalità senza eguali degli abitanti del luogo”, ecc.) per approdare ad atti aventi rilevanza legale.
Gli strumenti legali in tali casi risiedono dal lato del consumatore ingannato nel Codice del Consumo (in particolare in relazione alle pratiche commerciali scorrette a partire dagli art.20 e ss. oltre ai pesanti strumenti sanzionatori azionabili dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), nonché in relazione al concorrente danneggiato mediante azione ai sensi dell'art.2598 c.c. essendosi verificato un atto contrario alla correttezza professionale.

Il secondo caso invece ha un trattamento legislativo di meno lineare applicazione. Esso si produce quando il commento infedele è effettuato dal lato dell'utenza attraverso una piattaforma allo scopo predisposta la quale dichiara la propria irresponsabilità per il contenuto delle recensioni pubblicate dagli utenti; il limite in tal caso è quello determinato dall'art.595 del codice penale di cui al reato di diffamazione. È interessante notare che anche quando sia lo stesso titolare della piattaforma a predisporre dei sistemi di classificazione negativa di operatori turistici del tipo “Gli hotel più brutti del mondo”, queste e simili azioni di 'favoreggiamento' non sono state sinora intese dai giudici come integrative in concorso o in qualità di agenti del reato di diffamazione, bensì sempre come affermazioni retoriche ed iperboliche penalmente irrilevanti.
In definitiva, la materia pare essere un classico esempio del dibattito che infiamma internet nell'era 2.0, vale a dire se sia preferibile aumentare i controlli e le relative imputazioni di responsabilità ai provider a qualunque titolo coinvolti nel permettere l'accesso agli utenti (dai mere conduit ai recentissimi cloud provider) oppure mantenere, se non ampliare, la sfera di libertà degli utenti.

A tutt'oggi è indubbio che la coscienza sociale generale senta come un'intollerabile intromissione una possibile stretta giuridica sull'utilizzo di internet, per cui appare chiaro come la migliore difesa rimanga quella del componimento dei conflitti stragiudiziale nonché mediante un corretto utilizzo del diritto di replica secondo le modalità proprie dei social network.

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