Se state pensando a un restyling dei locali adibiti all’accoglienza dei turisti, vi sarà di conforto – considerati i tempi che corrono – apprendere che potrete serenamente tagliare almeno una voce di budget: la filodiffusione.
Nata tecnicamente oltre mezzo secolo fa e riversata a profusione negli ambienti pubblici dagli anni ’70 in poi, oggi viene energicamente e orgogliosamente bandita da alcuni tra i ristoratori e gli albergatori più à la page di New York, Los Angeles, ma anche di Roma, Milano e dell’ascetica Umbria.
E così, dopo le grandi abbuffate di colonne sonore pop-rock-rappereggianti che chiosano le nostre soste in caffetterie, ristoranti, camere d’albergo (spesso bagni inclusi), navi, spiagge e taxi, torna finalmente alla ribalta il silenzio.
Le grandi indigestioni, si sa, provocano rigetto e poi digiuno. Al punto che alcune discoteche del pianeta si sono inventate i ‘silent party’: con musica, sì, ma solo in cuffia. Per godersi la conversazione con gli amici basta toglierla, e lo fanno in molti.
A questo punto, considerato il gradimento riscosso da questo genere di iniziative, si potrebbe pensare a un aggiornamento - o un’integrazione? - delle regole del marketing sensoriale applicato alla musica.
Quanto avviene dimostra infatti che non è forse poi così corretto estendere tout court i paradigmi validi per la shopping experience - in negozio o nei super-ipermarket – ai luoghi preposti all’accoglienza turistica, spesso crivellati di decibel superflui. Soprattutto ora che i segnali di tendenza predicono l’avvento di forme di turismo più slow e contemplativo. Con ospiti che premieranno l’intraprendenza di quei gestori pronti a sposarne i desiderata facendo propria l’esortazione del celebre letterato Arturo Graf, involontario antesignano dei nuovi trend di consumo turistico, che a inizio Novecento scriveva: “Fa' silenzio intorno a te, se vuoi udir cantare l'anima tua”.